Paola Valenzano raccontata da Paola Valenzano
Nasco sotto il sole romano nell’agosto del 1971 e forse per questo la prima parola che pronuncio è “giallo”.
Sono spinta da una grande curiosità e la mia vera specialità sono le domande. Ho studiato diverse tecniche e discipline con una predilezione per quelle artistiche, antropologiche e psicologiche.
Dopo la laurea in Antropologia alla Sapienza di Roma e gli studi di Restauro mi sono occupata per alcuni anni di conservazione e restauro di opere d’arte, dove ho appreso a valorizzare il tempo della cura, la trasformazione e la necessaria pazienza. La conoscenza dell’Arte Nativa è stata il più potente richiamo verso la mia attività artistica, intrapresa intorno ai trenta anni dopo aver studiato, tra le altre cose, scultura del legno, fotografia, incisione, plastica e formatura. A partire da allora ho preso parte a diverse mostre, collettive e personali, soprattutto presso i circuiti culturali indipendenti.
La mia rotta è mobile e cangiante ed è dettata dall’intuizione, quando riesco a non interferire con essa. Nel tempo la ricerca si è direzionata, da una parte, verso tematiche intime e simboliche, integrando l’indagine psicologica e le memorie familiari, appropriandomi anche dell’utilizzo di tecniche appartenenti tradizionalmente all’universo femminile come cucito, ricamo e tessitura; dall’altra verso tematiche più ampie e generali e per certi versi universali. Mi impegno a stanare i condizionamenti personali e collettivi, quelli interiorizzati, quelli che si nascondono molto, molto bene tra le pieghe della mente, delle consuetudini e delle tradizioni. Sono sempre più interessata all’Arte Partecipativa e ai suoi sviluppi.
Seguo una naturale inclinazione a portare cose dalla bidimensionalità della visione mentale alla tridimensionalità creando “oggetti a funzionamento simbolico”, come direbbero i surrealisti. Assaporo la pace quando le mie mani sono operose e mi sento realizzata quando qualcosa che si è manifestato nella mia mente si materializza così da poter essere condiviso con altri e altre. Lo sguardo, l’interazione o la collaborazione altrui “completa“ l’opera e continua a renderla viva.
Un tema ricorrente è quello del contenitore, del rifugio, del confine. Il tema della casa e la dialettica interno-esterno. Il confine materiale e immateriale tra il sé e l’altro e tra il sé privato e il sé pubblico.
Parallelamente, per diversi anni mi sono divertita a costruire una singolare e ironica cosmogonia personale, fatta di alieni di stoffa, donne uccello, totem, astronavi e macchine del tempo.
Recentemente mi sono laureata in Arte per la Terapia presso l’Accademia di Belle Arti di Roma elaborando una laboratorio itinerante in compagnia del Caso: La Passeggiata Aesthetica ispirata al grande insegnamento sociale delle pratiche situazioniste e fenomenologiche da una parte e dal grande potenziale della rottura delle abitudini e della routine che risiede nella Pratica-della-Presenza dall’altra. Il caso, l’errore e il gioco ne sono ingredienti fondamentali. La relazione con il sé-insolito e con l’alterità, ambiente, cosa o persona che sia, né è il cuore.
Sono affascinata dalle coincidenze, dal caso e dall’errore e dalla possibilità di essere integrati nell’arte e nella vita. Sospetto che possano nascondere la presenza del Creatore/della Creatrice e che possano rivelare alcune delle cose più interessanti dell’esistenza.
Se la libertà più autentica è nella Presenza-nel-Presente, parafrasando la citazione di un famoso film potrei dire che: “there’s no moment like this moment, so This must be The Moment”…